



Il prato
I prati stabili sono generalmente originati da associazioni vegetali in parte spontanee e non hanno subito azioni di dissodamento, sono influenzati nella loro mescolanza floristica da specifici contesti naturali connessi al territorio quali altitudine, clima, struttura fisico-chimica dei suoli e dalle diverse pratiche colturali, sfalcio, irrigazione e concimazione.



Gli ecosistemi prativi, come tutti gli habitat vegetali, sono sensibili alle alterazioni ambientali e alle diverse componenti biologiche che ne condizionano lo sviluppo, inoltre influenzano una serie di rapporti capaci di offrire stabilità all’insieme per lungo tempo e manifestano proprietà ecologiche molto importanti, infatti essi conservano rilevanti riserve di biodiversità, sia vegetale che animale; sostengono una notevole ricchezza floristica e anche una buona diversità zoologica, viole, ranuncoli, margherite, fiordalisi, grilli, lucciole e farfalle esprimono tutto il loro fascino nelle zone vallive dove ancora prospera questa cenosi.
Il paesaggio prativo e le essenze vegetali che lo costituiscono sono state per secoli variate e modellate dalla presenza umana e dalle costanti attività agricole e pastorali; soprattutto negli ultimi cinquant’anni, si è assistito ad un progressivo abbandono dei prati stabili e ad una profonda trasformazione nella composizione floristica di queste cenosi.
Queste associazioni semi naturali in passato assai estese, costituiscono ai giorni nostri una piccolissima parte del territorio e specialmente nelle zone di pianura sono andate via via diminuendo a favore di altre coltivazioni più redditizie quali mais, frutteti e pioppeti; inoltre le forti concimazioni inorganiche e le copiose irrigazioni hanno snaturato e ridotto la consistenza floristica, forzando la germinazione di consorzi vegetali particolari in cui predominano le graminacee ed altre specie che non risentono di tagli frequenti.
Sono certamente agevolate con questi interventi le piante più rigogliose, fornite di rizomi e germogli complementari che consentono di prosperare spontaneamente dopo il taglio e che quindi permettono ad esse di non sospendere il proprio ciclo vegetativo stagionale.
In passato i prati da sfalcio anche nelle zone di pianura non facevano parte delle tradizionali rotazioni agrarie, coprendo il terreno senza mai essere arati anche per molti decenni ed erano concimati solo con sostanza organica; tutti gli anni in autunno una piccola parte del terreno veniva scorticata e le zolle sovrapposte e stratificate con letame, per ottenere terricciati da spargere sulle cotiche erbose a fine inverno, prima dell’inizio della nuova stagione vegetativa.
Nelle alte Langhe è ancora presente il “prato asciutto”, associazione vegetale molto meno influenzata dalle attività colturali, anche se ancora costantemente falciato esprime una flora assai ricca composta da una molteplicità di specie dai variegati cromatismi; spiccano le sgargianti fioriture che trasformandosi stagionalmente colorano il manto erboso a chiazze gialle, bianche e rosse, conferendo al paesaggio un gradevole e suggestivo aspetto estetico.
Tra le numerose piante concorrenti alla formazione del prato stabile, aderiscono molte specie di graminacee (Alopecurus pratensis, Arrhenatherum elatius, Lolium multiflorum, Lolium perenne, Festuca pratensis, Poa trivialis, Holcus lanatus, Setaria glauca, Setaria viridis), alcune specie di leguminose caratterizzate dalle infiorescenze globose, il trifoglio rosso (Trifolium pratense), il trifoglio ladino a fiori bianchi (Trifolium repens),il trifoglio campestre (Trifolium campestre), il trifoglio rosseggiante (Trifolium rubens), il loto (Lotus corniculatus), l’erba medica(Medicago sativa), la lupinella (Onobrychis viciifolia).
Associate ad esse nelle zone marginali più asciutte dei prati spesso si riscontrano vistose margherite (Leucantheum vulgare), le umili pratoline (Bellis perennis), la profumata achillea (Achillea millefolium), i calici rigonfi della silene (Silene vulgaris), qua e là i cespi del caglio bianco (Gallium album) e del caglio zolfino (Gallium verum), lo sferracavallo (Hippocrepis comosa). Nei luoghi con un maggior tasso di umidità sbocciano in abbondanza le corolle dorate del tarassaco (Taraxacum officinalis), i racemi azzurri dell’ajuga (Ajuga reptans), gli irritanti ranuncoli (Ranunculus acris, Ranunculus bulbosus), le spighe azzurre della salvia (Salvia pratensis), la vulneraria (Anthyllis vulneraria), l’olmaria (Filipendula olmaria).
All’inizio dell’estate nelle aree più fresche e meno assolate fanno la loro comparsa la spigarola campestre (Mepampyrum arvense), il romice (Rumex acetosa), le creste di gallo (Rhinanthus minor, Rhinanthus alectorolophus), diverse specie di ombrellifere, (Anthriscus sylvestris, Daucus carota, Pastinaca sativa, Pimpinella major), la radichiella (Crepis vesicaria),la piantaggine (Plantago lanceolata), l’eufrasia (Euphrasia stricta), la salvastrella minore (Sanguisorba minor), l’ambretta comune (Knautia arvensis), la verbena (Verbena officinalis).
Nelle diverse zone climatiche e altimetriche si affermano piante erbacee che si alternano nella fioritura durante le varie stagioni seguendo le proprie esigenze pedologiche.


I sentieri e le scarpate
L’origine delle strade campestri e dei sentieri è antica quasi quanto quella dell’uomo, che per secoli ha dovuto risolvere la necessità di spostarsi. I loro tracciati seguendo un percorso che si adatta naturalmente all’orografia del territorio, conducono verso luoghi diversi, spesso confluiscono in destinazioni importanti, mulini, mercati, villaggi, borgate, colli, santuari.
Queste vie di comunicazione semi naturali spesso fiancheggiate da ripe e da siepi costituiscono l’habitat ideale di una vegetazione variegata, sia arborea, arbustiva ed erbacea, spesso spinosa e intricata, caratteristica e propria di queste cenosi, che riassume grossomodo l’insieme di un elevato numero di piante comprendenti una buona parte delle specie appartenenti ad altre associazioni vegetali quali il bosco e il prato.
I terrazzamenti
I territori terrazzati espressione della costante attività nel corso dei secoli delle genti di Langa, rappresentano un patrimonio di conoscenze e di una cultura storica originata da oltre un millennio, risultante di un sapere costruttivo capace di accostare lo sviluppo delle coltivazioni agricole con la conformazione impervia del territorio e la morfologia naturale dei luoghi in modo organico ed efficace, segnando profondamente il contesto territoriale e paesaggistico.
Gli ambienti terrazzati costituiscono nelle fasce scoscese uno spazio di terreno pianeggiante adatto alla coltivazione dei fondi agricoli altrimenti impraticabili, rappresentano un elemento indispensabile per la salvaguardia del territorio. Sono una condizione fondamentale di stabilizzazione dei versanti, essi infatti permettono di tutelare il suolo da eventuali disgregazioni moderando la discesa delle precipitazioni meteoriche e consentono un’efficace controllo delle acque che potrebbero provocare rovinosi smottamenti.
Queste ingegnose opere di sostegno oltre a rappresentare un’importante attività di tutela del territorio consentono l’utilizzo di un luogo protetto per diverse specie autoctone, forniscono uno spazio particolare di sviluppo della vegetazione spontanea, principalmente quelle piante che non necessitano di specifiche esigenze vegetative e della piccola fauna selvatica locale.
Le siepi
Fin dai tempi passati queste strutture vegetali dai profili e dalle conformazioni più disparate costituiscono per l’ambiente umano un apparato di protezione e demarcazione dei propri spazi vitali: siepi per recinzioni (ciuvenda), poste nelle vicinanze della cascina o al bordo di importanti luoghi limitrofi, quali il cortile e l’orto; siepi difensive, (chiosso), costituite da piante provviste di spine robuste (biancospino, pruno spinoso) tali da formare sbarramenti inviolabili, erano site sul perimetro degli appezzamenti per creare impedimenti a uomini e animali; siepi interpoderali, barriere vegetali alberate che si estendono al bordo dei coltivi o lungo le rive dei corsi d’acqua a definire in maniera naturale il termine delle proprietà agrarie.
Le siepi interpoderali, formate da piante spontanee rappresentano una delle strutture naturali che in maggior misura caratterizzano l’ecosistema agrario, esse svolgono non solo una funzione ecologica o paesaggistica, ma agiscono con efficacia nella protezione del suolo: nei territori impervi della zona collinare partecipano alla stabilizzazione dei versanti prevenendo lo sviluppo di fenomeni erosivi e franosi, sono opportune nella composizione di barriere frangivento, concorrono a rendere i sistemi agricoli ecocompatibili con riflessi favorevoli per le coltivazioni.
La complessa struttura eterogenea delle formazioni vegetali costituenti le siepi, articolata in diversi piani vegetazionali, arborei, arbustivi ed erbacei contribuisce a formare un complesso di corridoi naturali e di micro-habitat che ospitano una flora spontanea distinta che sostiene una elevata biodiversità, permette ad ogni specie animale di soddisfare le proprie esigenze vitali, stimolando la presenza di piccoli mammiferi e numerosi uccelli che attratti dalle molteplici bacche fornite dalle diverse piante e dalla opportunità di un ricovero protettivo, scorgono un luogo conforme alla soddisfazione delle proprie necessità e al sostentamento della prole.
Esse rivestono inoltre un’importante funzione antisettica, apportando alle coltivazioni notevoli benefici, offrono rifugio a numerosi animali e insetti utili che possono predare gli organismi patogeni delle coltivazioni agrarie, evitando che gli insetti parassiti e dannosi che potrebbero apportare gravi alterazioni alle colture si accrescano in sovrabbondanza e abbiano uno sviluppo prevalente rispetto alle specie utili.
Purtroppo nel nostro territorio con lo sviluppo dell’agricoltura di tipo intensivo e il rapido diffondersi della meccanizzazione e delle moderne pratiche agrarie il loro ruolo è stato messo in discussione. Nelle zone di pianura e della bassa collina i filari arborati e le siepi interpoderali sono state totalmente abbattute, lasciando spazio ad appezzamenti ampi e regolari, facilmente lavorabili con i moderni mezzi meccanici, prospettando una pura visione produttivistica.
La conformazione delle siepi si sviluppa in diversi piani stratificati, è rappresentata da differenti tipi di formazioni vegetali, estremamente variabili tra loro sia in termini compositivi, che strutturali, con zone a vegetazione in parte continua dominate talvolta da alberi di varia grandezza e da vegetazione arbustiva o erbacea. Soleggiati, liberi da impedimenti laterali, alberi di alto fusto sovrastano un sottobosco di arbusti e nella parte basale si stabiliscono le numerose specie erbacee formanti spesso splendidi tappeti fioriti dalle colorazioni più variegate.
Tra le essenze vegetali di alto fusto concorrenti alla formazione delle siepi è facile individuare la infestante robinia (Robinia pseudoacacia), l’acero campestre (Acer campestre), l’olmo (Ulmus minor), la roverella (Quercus pubescens), la rovere (Quercus petraea), il carpino nero (Ostria carpinifolia), il frassino da manna o orniello (Fraxinus ornus),
Nella fascia mediana si afferma un tipo di vegetazione arbustiva, spesso spinosa, sono frequenti il nocciolo (Corylus avellana), il sambuco Sambucus nigra), il pruno spinoso (Prunus spinosa), il biancospino (Crataegus monogina), il sanguinello (Corpus sanguinea), il cappello del prete (Euonymus europaeus), la rosa selvatica (Rosa canina), la rosa serpeggiante (Rosa gallica), l’arresta buoi (Ononis spinosa). La natura selvaggia di questo ambiente è resa ancora più impenetrabile da alcune specie a portamento volubile e rampicante che tendono ad avvolgere e sopraffare le altre piante: la clematide (Clematis vitalba), il velenoso tamaro (Tamus communis), i rovi (Rubus caesius, Rubus ulmifolius), la brionia (Bryonia dioica), il luppolo (Hummulus lupulus), l’edera (Hedera elix), il caprifoglio (Lonicera caprifolium).
Lo strato erbaceo basale che si estende ai lati delle siepi, si compone di una flora spontanea varia e di un numero assai elevato di specie che si adattano alle condizioni più appropriate: le primule (Primula vulgaris), varie specie di viole (Viola hirta, Viola di Rivinus, Viola odorata), la falsa ortica purpurea (Lamium purpureum, la cornetta ginestrina (Coronilla varia), le ortiche (Urtica dioica), varie specie di ginestre (Genista tinctoria, Genista pilosa, Genista germanica, Spartium junceum), l’erba di S.Giovanni (Hypericum perforatum), alcune specie di boraginacee, la buglossa (Ancusa italica), l’eliotropio (Heliotropium europaeum), la cicuta (Conium maculatum), la consolida (Symphytum officinale), il caglio bianco (Galium album) e il caglio zolfino (Galium verum), il nontiscordardimé (Myosotis arvensis), l’erba viperina (Echium vulgare), l’angelica (Angelica silvestris), la camomilla (Matricaria chamomilla) la camomilla senza odore (Matricaria inodora) e la camomilla brucia occhi (Anthemis altissima).
Negli spazi laterali più freschi e battuti dal vento si afferma spesso un tipo di vegetazione in parte composta da specie aromatiche, le salvie (Salvia pratensis, Salvia nemorosa), la betonica (Stachys officinalis), la stregona gialla (Stachys recta), alcune specie di mente (Mentha longifolia, Mentha suaevolens), la cimiciotta (Ballota nigra), il timo (Thymus serpyllum), il clinopodio (Clinopodium vulgare), diverse specie di malvacee (Malva silvestris, Malva negletta, Althaea cannabina), il camedrio (Teucrium chamaedrys), il marrubio (Marrubium vulgare), la prunella (Prunella vulgaris), alcune specie facenti parte della famiglia delle scrophurariacee: il verbasco (Verbascum plomoides), varie specie di veronica (Veronica officinalis, Veronica chamaedrys, Veronica urticifolia), la linajola (Linaria vulgaris), alcune specie di scrofularie (Scrophularia canina, Scrophularia nodosa), la dulcamara (Solanum dulcamara), la digitale gialla (Digitalis lutea), l’alkekengi (Physalis alkekengi).
Nelle radure più aride, fanno bella mostra diverse specie di fiordalisi (Centaurea scabiosa, Centaurea nigrescens, Centaurea bracteata), di cardi (Carduus nutans, Cardus litigiosus, Cirsium eriophorum, Cirsium vulgare), di enule (Inula bifrons, Inula salicina, Inula conyza), di artemisia (Artemisia absinthium, Artemisia campestris, Artemisia verlotorum), di lattuga (Lactuca saligna, Lactuca serriola), spesso associate alla pilosella (Hieracium pilosella), alle plantago (Plantago major, Plantago lanceolata), agli scardaccioni (Dispacus fullonum e Dispacus laciniatus), alla perlina gialla (Odontites lutea).
In estate al margine dei sentieri, nelle radure erbose compare un tipo di vegetazione caratterizzata da una spiccata semplicità ecologica: vegetano molte specie di graminacee appartenenti ai generi, (Agrostis, Avena, Bromus, Festuca, Lolium, Pleum, Setaria), qua e là le corolle violette della scabiosa (Scabiosa columbaria), diverse specie di cinquefoglie (Potentilla reptans, Potentilla erecta, Potentilla micrantha), la vulneraria (Anthyllis vulneraria), la verbena (Verbena officinalis), specie di orobanche (Orobanche lutea, Orobanche gracilis, Orobanche alba). Lungo le scarpate e le ripe si estendono i filamenti intricati delle cuscute (Cuscuta campestris, Cuscuta ephytimum) specie saprofite che avvolgono e soffocano le altre piante.
Negli interstizi dei muri in pietra che delimitano gli antichi sentieri, in siti poco esposti all’irradiazione solare, radicano talora copiosamente alcune specie di felci: l’erba ruggine (Ceterach officinarum), l’asplenio ruta di muro (Ruta muraria) e ancora l’asplenio tricomane (Asplenium trichomanes), raramente le pianticelle dell’ombelico di Venere (Umbilicus rupestris), piccole felci originali che sono riuscite ad adattarsi a queste condizioni insolite.