








Le antiche credenze popolari hanno da sempre identificato il bosco come un luogo sacro, e straordinario. Ogni spazio del bosco avvolto da un alone di mistero testimoniava segni inspiegabili e oscuri che manifestavano le forze fantastiche della natura. Favole e leggende narrano questo mondo singolare, fenomeni magici, forze occulte, esseri stravaganti benigni o maligni, fate, streghe, gnomi, elfi, ninfe esprimono il frutto dell’immaginario collettivo.
Per i popoli Celti e le civiltà nordiche il mondo delle foreste e dei boschi rappresentava il più grande e peculiare contesto naturale che custodiva la prodigiosa potenza del creato. Il forte legame con le foreste e i boschi era raffigurato dall’ipotesi che l’anima si poteva incarnare anche in elementi naturali, una sorta di passaggio, un ciclo vitale perpetuo tra l’uomo e la natura. Vi erano alberi considerati sacri quali la quercia, il frassino, la betulla, il sambuco, l’agrifoglio, in quanto gli alberi manifestavano la congiunzione tra la terra e il cielo.
Questo processo misterioso che cercava di interpretare la complessità dei fenomeni naturali ha generato, nella cultura delle nostre civiltà, un intreccio eterogeneo di superstizioni miti e rituali.
Il vocabolo celtico e greco nemeton significa bosco sacro e santuario. I primi luoghi di culto dell’umanità furono i boschi, si credeva infatti che dagli alberi fossero scaturite tutte le altre forme di vita, in quanto il bosco rivelava lo spirito immortale e il ciclo della vita connesso alla successione delle stagioni. Sotto gli alberi sacri si svolgevano i rituali religiosi associati alla nascita, alla morte, alla fertilità, mentre le piante che si spogliavano e si rivestivano ogni anno delle loro foglie apparivano come l’immagine del perenne soffio vitale e rigenerativo.

Il bosco rappresenta una delle forme più organiche e complesse dell’intero mondo vivente. Ĕ un fenomeno di interazione tra i vegetali (fitocenosi) e gli animali (zoocenosi) che hanno stabilito reciproci rapporti di convivenza in relazione alle condizioni ecologiche ed ambientali.
Nella nostra regione alla fine dell’ultima glaciazione, avvenuta circa 10-12 mila anni fa in un paesaggio vegetale formato da tundra e licheni, con il miglioramento delle condizioni climatiche iniziò un progressivo e costante processo di ricolonizzazione del manto vegetale e delle piante che si erano trasferite in aree marginali ai ghiacciai stessi o in prossimità dei litorali marini. Dapprima si formarono boschi poco esigenti formati da betulle e pino silvestre, successivamente con l’aumento della temperatura si svilupparono e colonizzarono il territorio altre essene vegetali quali il faggio, l’ontano, il carpino e le querce. Verso il 5.000-2.000 a.C. si ebbe un periodo decisamente più caldo che stimolò la penetrazione di specie xerofile adatte ad un clima più temperato, provenienti dalle zone liguri quali il carpino nero, l’elicriso, l’eliantemo, l’erica arborea, il cisto, la ginestra, il bosso e il terebinto.
Durante il periodo neolitico fino al medioevo il nostro territorio era praticamente privo di popolazione, si presentava totalmente coperto da foreste, ne sono importante testimonianza i pochi documenti scritti che ci sono pervenuti e gli antichi toponimi legati al nostro territorio quali “silva popularis, nemus cellar e deserta langarum”.

I primi imponenti dissodamenti di foreste ebbero inizio nel periodo romano con forti tagli di boschi e successiva distribuzione delle terre ai veterani dell’esercito come compenso; successivamente ci fu una riespansione delle zone boscate, nel medioevo superiore si ritiene che le foreste fossero ancora molto vaste e coprenti gran parte della regione.
A partire dall’anno mille sorsero numerose abbazie (Benedettini e Cistercensi), i monaci impostarono consistenti lavori di dissodamento dei boschi, che nei secoli successivi vennero continuati e intensificati dagli agricoltori fino ai giorni nostri. Ciò non toglie che ancora oggi i boschi rappresentino nelle alte Langhe, nelle Langhe meridionali e parzialmente nelle zone centrali del Roero ampie superfici di territorio, anche se specie dominanti in passato quali il pino, il faggio e il carpino tendono a regredire e in molte zone a scomparire a causa delle coltivazioni intensive, dell’antropizzazione umana o sopraffatte dall’introduzione di specie non indigene come il castagno diffuso in epoca romana e la gaggia importata dall’America in epoca moderna e ormai specie infestante tutto il territorio.
Nel corso dei secoli il bosco è stato sempre ritenuto come una delle più importanti fonti di benessere, da gestire con parsimonia, un patrimonio produttivo e gratuito, indispensabile alle esigenze primarie della popolazione, ricco di risorse fondamentali, materiali e alimentari: legname da costruzione, legna da ardere, pali per le vigne, selvaggina, luogo in cui prosperavano svariati beni commestibili, castagne, funghi, frutti di bosco, erbe officinali, in quanto qualsiasi cosa presente nei boschi poteva servire ai bisogni della comunità.

La variegata struttura degli ambienti boschivi, in parte ancora integri nelle alte Langhe e nelle Langhe meridionali, connota un contesto ambientale attraente che condiziona la fisionomia armoniosa del paesaggio e ne rappresenta un elevato valore naturalistico ricco di biodiversità.
Il manto boscoso che possiamo invece osservare nel Roero e nelle basse Langhe, territori caratterizzati da forte presenza antropica a prevalente vocazione agricola, è composto in gran parte da consorzi vegetali boschivi eterogenei alquanto trasformati. Questi conquistano sempre nuovi spazi, modellando un contesto estraneo a quello originario, con supremazia di specie vegetali non facenti parte del patrimonio naturale locale, di entità avventizie o sinantropiche, che inducono il declino e l’estinzione delle piante autoctone preesistenti sul territorio.
L’assetto e le caratteristiche del manto vegetale che naturalmente ricopre ai giorni nostri il territorio derivano dall’interazione di molteplici fattori quali: struttura geologica, altitudine, clima, composizione del suolo, condizionamenti antropici, che hanno influenzato e modificato nel tempo l’aspetto vegetazionale della nostra regione.
Alla sommità delle colline delle alte Langhe, delle Langhe meridionali e del Roero centrale sono presenti boschi radi formati da specie con bassissime esigenze idriche, ad impronta termofila, in quanto l’esposizione e la natura del suolo creano condizioni climatiche peculiari, in cui gli effetti delle temperature invernali sono fortemente mitigati e le temperature estive sono alquanto aggressive. Le condizioni ambientali esasperate e la scarsa umidità persistente nel lungo periodo estivo ha favorito nel tempo la colonizzazione e lo sviluppo di specie xerofile attinenti all’areale mediterraneo, adatte alla sopravvivenza in condizioni secche.
In questi substrati aridi la vegetazione arborea è sostanzialmente costituita dal pino (Pinus silvestris), dalla roverella (Quercus pubescens), che predilige le posizioni più luminose, dal frassino (Fraxinus ornus), copiosamente presente in tutte le cenosi boschive delle Langhe, facilmente riconoscibile per le infiorescenze candide e piumose, dal carpino nero (Ostrya carpinifolia), essenza che massivamente interviene nelle formazioni boschive delle Langhe meridionali, abbondante sui calanchi della valle Bormida di Spigno.
Nelle associazioni boschive rade dove la filtrazione dei raggi solari raggiunge con facilità il suolo, consente lo sviluppo di uno strato arbustivo con scarse necessità idriche e meglio attrezzato per sopravvivere in condizioni tanto difficili, tra le varie specie presenti spiccano il ginepro (Juniperus communis), il brugo (Calluna vulgaris), la ginestra comune (Spartium junceum), spesso associata ad altre specie affini (Genista pilosa, Genista germanica, Genista tinctoria), il ligustro (Ligustrum vulgare), il viburno (Viburnum lantana), alcune specie di caprifoglio (Lonicera etrusca, Lonicera xilosteum), l’emero (Coronilla emerus), il citiso a foglie sessili (Cytisus sessilifolius), il citiso peloso (Chamaecytisus hirsutus), il cisto femmina (Cistus salvifolius) e nelle estreme zone meridionali delle Langhe l’erica (Erica arborea), il sommacco (Cotinus coggygria) e il pero corvino (Amelanchier ovalis).
La natura selvaggia e secca di questo ambiente assolato e battuto dal vento genera un tipo di vegetazione erbacea discontinua e cespugliosa, caratterizzata da una spiccata semplicità ecologica, inoltre è resa più impenetrabile dalla presenza di rovi, di liane e rampicanti che si legano alle altre piante con intrecci inestricabili. Lo strato erbaceo del sottobosco soggetto a tali condizioni esasperate presenta un numero di specie ridotto ma in particolar modo nelle zone con condizioni climatiche meno severe alcune sono in grado di prosperare con efficacia, tra esse spicca l’erba lucciola (Luzula nivea), la pilosella (Hieracium pilosella), la prunella comune (Prunella vulgaris), la prunellagialla (Prunella laciniata), alcune specie di festuca (Festuca sp.), l’erba mazzolina (Dactylis glomerata),l’eringio (Eryngium campestre), il timo (Thymus vulgaris), l’elicrisio (Helicrysium italicum), l’erba mazzolina (Dacylis glomerata), il trifoglino legnoso (Dorycnium pentaphyllum) e la saponaria rossa (Saponaria ocimoides).
Nelle aree boscate dei fondovalle e nelle vallette fresche o esposte a nord con forte copertura ombrosa caratterizzate da un microclima mitigato e umido anche nel periodo estivo, trovano rifugio le specie arboree mesofite quali la farnia (Quercus robur), la rovere (Quercus petraea), il cerro (Quercus cerris), con la particolare ghiande a cupola riccioluta, il pioppo tremulo (Populus tremula), il faggio (Fagus sylvatica), dalle foglie lucide e coriacee, specie dominante nelle epoche passate, ormai in continua e costante contrazione. Raramente si nota il tiglio (Tiglia cordata), comune è l’acero (Acer campestre), alberello dalle foglie palmate e dai frutti alati, si incontra con frequenza anche lungo i sentieri e i corsi d’acqua frammisto alla vegetazione del luogo; il carpino (Carpinus betulus), ampiamente diffuso nelle epoche passate, ormai divenuto specie poco frequente e sporadica, l’olmo (Ulmus minor), un tempo sparso in tutto il territorio, causa una grave infestazione è ormai ridotto a modeste forme arbustive.
Una presenza caratteristica che si può osservare sui crinali delle dorsali, per la sua vistosa fioritura che in primavera si espande sul bosco ancora spoglio è quella del ciliegio selvatico (Prunus avium), presente con esemplari isolati o in piccole colonie sia nei boschi che nelle siepi. Altro elemento vegetale importante dei boschi del nostro territorio, è il castagno (Castanea sativa), probabilmente di origine non indigena, (alcuni studiosi ne indicherebbero le origini nella regione balcanica, fu di certo dai romani coltivato e introdotto nella nostra regione) partecipa in modo considerevole alla formazione dei boschi misti a foglie caduche, sporadicamente a gruppetti si può osservare nelle zone boschive fresche la betulla (Betula pendula), dalla caratteristica corteccia biancastra e squamosa.
All’ombra di questi boschi fitti e ombrosi vegeta uno scarso strato arbustivo ma specialmente nelle macchie più chiare ed aperte spiccano specie arbustacee prospere e vigorose, alquanto diverse da zona a zona; sarà possibile osservare le stupende fioriture a grappoli dorati del maggiociondolo (Laburnum anagyroides), il sorbo (Sorbus torminalis), il sambuco (Sambucus nigra), dalle vistose fioriture candide che estendono a distanza il loro profumo nauseante, il biancospino (Crataegus monogyna), il nocciolo (Corylus avellana), il caprifoglio (Lonicera caprifolium), la vitalba (Clematis vitalba), l’edera (Hedera elix) che prospera rigogliosa in ogni luogo legandosi ai tronchi delle piante con intrecci avvolgenti mortali. E’ sporadico invece il ritrovamento di qualche esemplare di bosso (Buxus sempervirens) presente nelle epoche passate nelle zone più elevate delle Langhe meridionali è pressochè scomparso; poco frequente la presenza del fior di stecco (Daphne merzereum) e della laurella (Daphne laureola).
Nel bosco folto e intricato con il suolo coperto da foglie e detriti vegetali, la flora erbacea non presenta uno sviluppo particolarmente rigoglioso, ma spesso nelle fasce marginali, in particolar modo nella stagione primaverile prima che il bosco si rivesta di foglie e impedisca ai raggi solari di raggiungere il suolo è un continuo mutare di colori, e uno spandersi di aromi e profumi, per lo sbocciare di fiori che si alternano fino all’estate: troveremo in questi ambienti le precocissime primule (Primula vulgaris), già in fiore al primo sole di febbraio, qua e la alcune specie di viole (Viola alba, Viola canina, Viola hirta, Viola odorata, Viola riviniana), la polmonaria (Pulmonaria officinalis), l’anemone dei boschi (Anemone nemorosa), che stende le sue candide fioriture in ogni parte, l’erba trinità (Hepatica nobilis), più raramente le campanule rosate del dente di cane (Erythronium dens-canis), e quelle candide delle campanelle (Leucojum vernum), i mughetti (Convallaria majalis), che spesso rivestono il suolo con estesi popolamenti di fiori bianchi, l’elleboro puzzolente (Helleborus foetidus) e l’elleboro verde (Helleborus viridis), il farfaraccio bianco (Petasites album), e il farfaraccio maggiore (Petasites hybridus),raramente qua e là folte ed estese colonie di pervinche (Vinca minor).
Alcune specie con fioriture più tardive sbocciano nelle fasce più umide e chiare: la barba di capra (Actaea spicata), l’acetosella (Oxalis acetosella), le fragoline (Fragaria vesca), il sigillo di Salomone (Poligonatum odoratum), la dentaria minore (Cardamine bulbifera), l’erba limona (Melyttis melissophyllum), la spigarola bianca o melampiro (Melampyrum pratense), la betonica (Stachys officinalis), la stregona dei boschi (Stachys sylvatica). All’ombra dei boschi più compatti prosperano estesi popolamenti di felci, di facile osservazione la felce maschio (Dryopteris filix-mas), la felce femmina (Athyrium filix-foemina), la felce pelosa (Dryopteris affinis), la felce aculeata (Polystichum aculeatum), la felce aquilina (Pteridium aquilinum), nelle zone più elevate delle Langhe raramente si possono incontrare varie colonie di mirtilli (Vaccinium myrtillus), antichi relitti della flora glaciale.
In primavera negli ambienti prativi più aperti e soleggiati saltuariamente fa la comparsa una flora spontanea particolarmente rara composta da svariate specie di orchidacee, alcune con fioriture bianche o verdastre (Cephalanthera longifolia, Cephalanthera damasonium, Platanthera bifolia, Platanthera clorantha, Listera ovata), altre con fioriture rosse o violette (Orchis mascula, Dactylorhiza latifoglia, Epipactis elleborine, Limodorum abortivum). L’ultima è una pianticella saprofita, priva di clorofilla, vegeta consumando le sostanze nutritive di materiali vegetali in putrefazione o dalla decomposizione dei resti di minuscoli esseri viventi presenti nel terreno. Altra orchidacea saprofita presente di rado nelle zone boschive umide delle nostre colline è il nido d’uccello (Neottia nidus-avis), dall’aspetto singolare, predilige le aree più ombrose, priva di funzione clorofilliana, assorbe gli elementi necessari per il suo sostentamento tramite un fungo che vive sull’apparato radicale in simbiosi con la pianta stessa.
Nella stagione estiva nelle radure boschive erbose, lungo le siepi e al bordo dei sentieri compaiono alcune speciecaratterizzate dalla peculiare morfologia fiorale campanulata di colore azzurro (Campanula medium, Campanula persicifolia, Campanula rapunculoides, Campanula trachelium) o di colore giallo (Lysimachia punctata) e (Digitalis lutea).

